Il Cassegrain classico, come dice il nome, è uno degli schemi ottici più consolidati. Le sue origini rimontano alla metà del XVII secolo, quando padre Mersenne (l’amico di Cartesio) descrisse le proprietà ottiche di un riflettore a due specchi, uno concavo forato e l’altro convesso. Pochi anni dopo, e pare senza essere a conoscenza dei risultati di Mersenne, il professor Laurent Cassegrain brevettò lo schema ottico che oggi è legato al suo nome, che era peraltro solo di interesse accademico visto che nessuno sapeva come realizzare superfici asferiche (incluso lo stesso Newton). Il Cassegrain prevede infatti entrambi gli specchi non sferici, più esattamente un primario parabolico e un secondario iperbolico, e bisognerà attendere due secoli per vederne realizzati i primi esemplari utilizzabili praticamente.
Il fascio di luce raccolto dallo specchio principale viene intercettato un po’ prima della convergenza verso il suo proprio fuoco da uno specchio secondario, che lo rimanda indietro (per questo gli anglofoni parlano di folded design, letteralmente design piegato). Il primario viene quindi forato per rendere accessibile il piano focale posto poco più indietro, mentre l’iperbolico ha l’importante funzione di amplificare la focale dello specchio principale. Si deve essenzialmente a ciò la grande compattezza che caratterizza questo schema ottico: in pratica, la loro lunghezza fisica effettiva è sempre molto minore della loro lunghezza focale.
I principali inconvenienti del Cassegrain risiedono nel secondario, difficile da lavorare correttamente e da testare, e nel coma, che diviene problematico se si vogliono effettuare riprese a campo largo e lavori di astrometria. Anche la curvatura di campo è più accentuata di quella di un Newton equivalente. Rilassando l’uno o l’altro vincolo sono nati tutta una serie di derivati, molti dei quali in uso ancora oggi: il Dall-Kirkham, ad esempio, ha il secondario sferico (molto più facile da realizzare dell’iperbolico), mentre il Ritchey-Chrétien, al prezzo di avere iperbolici entrambi gli specchi, offre campi piani e liberi da coma assai ampi. A questi si aggiungono naturalmente gli Schmidt-Cassegrain, i Maksutov-Cassegrain, ed altri ancora.
La Guan Sheng Optical (GSO) di Taiwan, ha recentemente lanciato due interessanti strumenti: un Cassegrain classico da 6″ f/12, accompagnato dal fratello maggiore 8″ f/12, andando ad occupare un segmento di mercato per buona parte appannaggio dei Newton o degli Schmidt-Cassegrain. I telescopi, con trascurabili differenze, sono commercializzati da altri brand (Orion, Teleskop Express, eccetera) ma il design è il medesimo.
Lo strumento oggetto di questa recensione è quello da 8″, ordinato da Agena Astro negli USA. Ho preferito acquistare da loro soprattutto per i test supplementari cui ogni esemplare viene sottoposto, certificati da un documento rilasciato insieme al telescopio (v. immagine). Agena offre questo servizio gratuitamente, sebbene poi noi europei finiamo per pagarlo sotto forma di oneri doganali e spese di spedizione. Il telescopio è arrivato ben protetto in doppio imballaggio, senza nessuna traccia di graffi o urti e ben collimato. Sul polistirolo sagomato è leggibile la scritta “RC8” a conferma dei sospetti di parziale riutilizzo di alcuni componenti già impiegati per il Ritchey-Chrétien della stessa Casa produttrice.
Il telescopio viene fornito di serie con 2 barre (una Vixen e una Losmandy), un focheggiatore GSO e 3 prolunghe, necessarie per raggiungere il fuoco. Una è da 2 pollici (5 cm) e due sono da 1″. Il focheggiatore, del tipo Crayford, si presenta abbastanza leggero e robusto, con scala millimetrata sul drawtube e manopola di riduzione micrometrica 1:10, con possibilità di ruotare su sé stesso.
Di seguito alcune misurazioni che ho effettuato sullo strumento:
– Peso effettivo senza focheggiatore: 6 kg (senza la barra Losmandy che pesa 700g, e che conviene smontare se si usa la Vixen)
– Lunghezza reale con il focheggiatore e senza prolunghe: 64 cm
– Diametro del paraluce del secondario: 70 mm circa
– Ostruzione reale: 35% (v. dopo)
– Diametro interno OTA: circa 23 cm, 1 pollice circa più largo del primario
Si tratta quindi di uno strumento assai compatto, di pochi centimetri più lungo del naturale competitor C8 f/10, e di pochi etti più pesante. La prima caratteristica peraltro non è necessariamente un difetto, perché il baricentro più lontano dal primario permette un agevole bilanciamento in declinazione senza l’aggiunta di costosi contrappesi da agganciare alla barra.
Il Cassegrain e i suoi numerosi derivati, come noto, hanno bisogno di un paraluce su entrambi gli specchi per limitare il fenomeno dello sky-flooding, ossia l’abbagliamento derivante dal fatto che l’oculare guarda direttamente il cielo, diversamente dagli strumenti a fuoco laterale come i Newton. L’ostruzione reale è quindi misurata dal diametro del paraluce del secondario, e non dal diametro del secondario stesso. L’ostruzione è così risultata pari a circa il 35%, un buon valore di compromesso anche per gli amanti delle osservazioni visuali. Strumenti a rapporto focale più spinto (f/18 o f/20) che avrebbero fatto gola all’appassionato di alta risoluzione, sarebbero risultati meno ostruiti ma anche molto più specializzati, ed è probabile che anche questo abbia influito sulle scelte del progettista che ha privilegiato la versatilità da tuttofare.
Il secondario risulta sostenuto da 4 razze piuttosto spesse (2 mm) che aggiungono un quid trascurabile al valore dell’ostruzione, e danno luogo naturalmente ad altrettanti spikes di diffrazione, ma dall’altro lato garantiscono una buona stabilità della collimazione che viene mantenuta anche dopo lunghi salti del meridiano. Lo specchietto è collimabile attraverso 3 brugole, ed ha un adesivo centrale per aiutare nella procedura di allineamento sulla quale conviene soffermarsi.
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La collimazione del Cassegrain classico, che potrebbe far venire i capelli dritti a numerosi astrofili al solo nominarla, è in realtà piuttosto semplice se si ha ben chiaro cosa si sta facendo, addirittura più agevole di quella del Newton mancando il reinvio laterale a 45 gradi. L’unico accessorio che realmente serve è un collimation cap, dal costo di pochi euro (questo accessorio, stranamente, non viene fornito). Non amo particolarmente i laser, che si scollimano anch’essi e che tendono a decentrarsi durante il serraggio.
E’ importante anzitutto identificare bene tutti gli elementi che si vedono, e distinguere quelli reali dai loro riflessi, come peraltro richiedono anche i Newton. La collimazione si esegue di giorno, puntando lo strumento contro il cielo chiaro o comunque in un ambiente bene illuminato. L’immagine sotto proposta, presa dal portaoculari senza il tappo forato, dà un’idea di cosa si vede quando lo strumento è ben allineato ed aiuta ad individuare i riferimenti utili. Quelli che si vedono sono, in realtà, quasi tutti riflessi: l’unico elemento reale è lo specchietto con il suo paraluce e il suo marker adesivo. Anche il bordo del paraluce del primario è reale, ma non serve per collimare le ottiche, quindi una volta identificato, lo si può ignorare. Questi due ultimi elementi, se lo strumento è ben progettato, se visti dal piano focale hanno praticamente lo stesso diametro , e per tale motivo si fa fatica a distinguerli.
1) Per prima cosa occorre collimare il secondario, che deve “guardare” tutto il primario. Ci si posiziona all’oculare, con il cap forato montato, e con l’aiuto dell’adesivo si agisce sulle 3 viti del secondario finché il riflesso circolare del primario non appare centrato. E’ fuorviante, in questa fase, concentrarsi su altro. Ci può aiutare svitando il paraluce del primario, in modo da avere una vista meno ostruita. Fatto questo, il riflesso del primario deve apparire centrato, ma quello del secondario (cerchio nero interno, vedi immagine) probabilmente apparità disassato.
2) Si deve quindi collimare il primario, ossia riportare il riflesso scuro del paraluce del secondario al centro del riflesso del primario, che se abbiamo correttamente eseguito lo step precedente apparirà come un cerchio luminoso ben centrato. Usiamo le 3 viti a brugola sulla culatta, avendo cura di allentare i 3 grani di fermo prima di procedere agli aggiustamenti necessari, e facciamo attenzione a non confondere il riflesso del paraluce del secondario con il riflesso del supporto del paraluce del primario (nell’immagine sotto, per semplicità, è indicato solo il primo). Aiutiamoci poi con gli spider del secondario finché la vista sia ben simmetrica. Se tutto è stato eseguito accuratamente, la vista dal portaoculare deve essere simile a quella riportata nell’immagine.
Il secondario lo si aggiusta generalmente una sola volta, mentre il primario avrà probabilmente bisogno di qualche piccola regolazione supplementare di tanto in tanto, che conviene effettuare su stella sfocata.
Lo star test eseguito in una notte primaverile con seeing medio su Denebola (v. immagine sotto) dimostra che siamo di fronte a delle ottiche davvero buone per uno strumento commerciale e di non semplice fattura. Il test è stato eseguito (contrariamente a molti di quelli che si vedono in rete) molto vicino al fuoco, circa 1 cm, ed è quindi estremamente sensibile. Occorre tenerlo presente, se non si vuole correre il rischio di sovrastimare gli errori.
La principale aberrazione è un leggero astigmatismo, rilevabile dalla forma ovale della stella che ruota di un angolo retto passando da un lato all’altro del fuoco (IF sta per intrafocale, EF per extrafocale). Peraltro non è necessariamente detto che sia nel vetro, potendo essere indotto da qualche tensionamento. La sferica, sebbene da un primo esame dell’ombra del secondario potrebbe sembrare importante, la ritengo invece trascurabile per più ordini di motivi:
– Lo star test è stato eseguito nei pressi del fuoco, come detto;
– Il reticolo di Ronchi mostra 3 o 4 linee regolari e ben dritte;
– Un test di Roddier preliminare ha evidenziato una correzione della sferica eccellente;
– Il profilo di luminosità della stella sfocata è regolare, senza anelli brillanti periferici o intorno al secondario, indici sicuri di sferica;
– Lo snap test è molto preciso.
In termini pratici, in virtù della sensibilità dei sensori e delle condizioni stringenti già menzionate, all’ispezione visuale le due immagini intra- ed extrafocale risultano molto simili.
Il Cassegrain è uno strumento relativamente corretto, sebbene lavori al meglio a rapporti focali spinti (f/15-f/20). Non mi è stato possibile reperire dal produttore, probabilmente timoroso del reverse engineering da parte di qualche competitor, dati precisi in merito al rapporto focale del primario, che dai miei calcoli dovrebbe essere pari o poco superiore a f/3, né del backfocus che ho stimato intorno ai 25 cm. Il campo di piena luce mi è stato invece comunicato da Agena, risultando pari a 15 mm.
La prova sul campo è stata decisamente positiva. Lo strumento entra presto in temperatura, e non ho notato né piume di calore né perturbazioni degne di nota imputabili alla turbolenza strumentale. Il produttore dichiara che gli specchi sono in quarzo, materiale piuttosto costoso che ha una dilatazione termica molto bassa e permette lavorazioni più accurate della superficie degli specchi. Confesso che inizialmente ero piuttosto scettico al riguardo, parendomi decisamente troppa grazia per uno strumento di questo prezzo. Tuttavia, trasportato lo strumento dall’interno all’esterno e dispostomi ad osservare quasi subito, non ho osservato gli effetti del transitorio termico sulla stella sfocata, il che si accorda bene con le proprietà del substrato in oggetto. Va aggiunto che le temperature in questo periodo (fine aprile) sono abbastanza dolci, ed occorre attendere il periodo invernale per una valutazione più precisa.
Il Cassegrain classico non è tollerante come gli SCT riguardo la distanza tra gli specchi, che è bene non si discosti mai molto dal valore di progetto. E’ possibile (sebbene in pratica sconsigliato, a meno di esigenze particolari) modificare la distanza tra gli specchi svitando la ghiera posta vicino al paraluce del secondario, che può così muoversi assialmente. Ovviamente così facendo si andrà a modificare anche il backfocus (e non poco!) e la lunghezza focale, oltre ad introdurre della sferica, ed è bene quindi che questa operazione sia compiuta da un esperto.
Lo strumento come detto è corredato diverse prolunghe. Con un diagonale prismatico Baader da 1 1/4″, e ovviamente il focheggiatore montato, il fuoco viene raggiunto con la prolunga da 2″. Le altre sono utili se si fa imaging, dove non c’è il diagonale a “consumare” centrimetri di retrofuoco.
Con il Panoptic da 24 mm era possibile notare un allungamento delle stelle ai bordi del campo, ma molto leggero e per niente fastidioso. Con il medesimo oculare la “Doppia doppia” in Lira appariva già nelle sue 4 componenti, a testimonianza della puntiformità delle stelle offerta dallo strumento. Anche Izar (separazione 3″) nel Boote era facilmente separabile con il Plössl da 9mm e molto godibile grazie alla purezza dei colori.
I panorami lunari, incisi, non sono stati da meno: sono riuscito anche ad avvistare due o tre dei 4 craterini maggiori all’interno di Plato. La turbolenza, purtroppo, non consentiva di spingere molto con gli ingrandimenti.
Quando il meteo e il seeing saranno più collaborativi, è mia intenzione integrare la presente recensione con immagini prese con lo strumento e un test di Roddier.
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In conclusione, è davvero difficile chiedere di più a uno strumento di questa fascia di prezzo (viene proposto a circa 1000 euro). Lo schema puramente catottrico, ossia composto solo da specchi, presenta tutti i vantaggi derivanti dall’assenza di lastra correttrice: acclimatamento più rapido, nessun problema di condense, ed uguale efficienza in tutte le lunghezze d’onda (assenza di sferocromatismo). Essendo fissa la distanza tra i due specchi, mancano inoltre gli inconvenienti legati ai famigerati movimenti dello specchio primario degli Schmidt-Cassegrain (mirror flop). Il limitato peso e ingombro lo rendono infine perfettamente supportabile da una montatura economica : l’AVX è un abbinamento perfetto per questo telescopio.
Solo pregi quindi? Purtroppo no. Lo strumento, da alcune misurazioni fatte, sembra avere un secondario leggermente sottodimensionato, sicché la sua apertura utile è un po’ minore dei 20 cm dichiarati (tra i 185 e i 190 mm) e di conseguenza la sua ostruzione è un po’ maggiore del valore dichiarato (37%). Non saranno tuttavia molte le notti dove, in Italia, si potrà sentire la mancanza del centimetro mancante. Dal lato pratico, la collimazione del secondario può essere un po’ laboriosa perché lo specchietto fatica a “vedere” tutto il primario, ma basta cercare di ottenere un’immagine il più possibile simmetrica e circolare per bypassare il problema (v. paragrafo sulla collimazione).
Inoltre, gli spikes di diffrazione possono spiacere a chi sia abituato alle immagini degli strumenti a lente (o comunque che ne sono privi) ma questo è un aspetto anche e forse soprattutto soggettivo essendo la perdita di contrasto molto modesta.
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In basso, alcune immagini realizzate con lo strumento la sera del 15 gennaio 2022 con ASI183MM e filtro R Astronomik (non sono state necessarie Barlow grazie ai piccoli pixel del sensore).