Tutti conoscono, di nome se non nel cielo, la costellazione dell’Orsa Maggiore o Gran Carro, le cui sette brillanti stelle principali formano un raggruppamento inconfondibile intorno al polo Nord.
Ritroviamo quindi l’Orsa nei miti di molte cività antiche, che sono tutti molto interessanti anche se, com’è ovvio, piuttosto divergenti tra popolazioni vissute in tempi e luoghi molto diversi.
Il più bello è probabilmente quello greco, ripreso ed abbellito poi da Ovidio nelle Metamorfosi, secondo il quale l’Orsa era la bellissima ninfa Callisto, del corteo di Diana. Giove, non nuovo a queste cose, se ne innamorò a prima vista e la sedusse, suscitando le ire di Giunone. Appena si accorse del tradimento e della gravidanza della ragazza, la dea decise di punirla con esemplare crudeltà. Infatti, Callisto fu trasformata in una terribile orsa, alla cui vista quelli che una volta erano stuoli di ammiratori si tramutavano in orde di fuggiaschi. Suo figlio Arcas (o Arcade), crebbe però avvenente e prestante, diventando un cacciatore valentissimo. Il destino volle che, dopo quindici anni di solitari vagabondaggi per i boschi, Callisto si trovasse di fronte proprio suo figlio, che ovviamente non la riconobbe e l’avrebbe certamente uccisa se Giove non avesse tempestivamente posto entrambi in cielo. Le due costellazioni com’è giusto sono vicine. Arcas adesso è Arturo (i due nomi derivano probabilmente dal greco àrktos, che vuol dire orso e da cui deriva anche “artico”), nel Boote, e fa da guardiano alla sventurata madre nel suo eterno girare intorno al Polo. Alle nostre latitudini, l’Orsa Maggiore è circumpolare e quindi non tramonta mai; questo affinchè, ricorda Omero, si avveri la volontà di Giunone, che voleva non si bagnasse mai nel mare. Secondo altre versioni, Arcas sarebbe invece stato trasformato nell’altra Orsa, quella Minore. I Romani vedevano nelle sette stelle del Gran Carro sette buoi (in latino septem triones) che, attaccati al giogo, girano in tondo per arare un campo. Da qui il nostro termine “settentrione” per indicare il Nord.
La visione degli Arabi era invece alquanto più tetra. Secondo essi infatti quattro delle stelle del Gran Carro costituivano una bara, e le tre stelle del timone il corteo funebre al seguito. Il grande astronomo di origini persiane Al-Sufi (vissuto nel decimo secolo dopo Cristo) racconta che la stella centrale del timone, Mizar, serviva da test per la vista dei fanciulli. Infatti, questa stella è una doppia, abbastanza sbilanciata ma piuttosto larga (12 primi d’arco). Se qualche lettore trova questa doppia troppo facile, può cimentarsi prima con theta Tauri e infine con la difficilissima Epsilon Lirae.
Le stelle Alfa e Beta della Grande Orsa, prolungate di circa 5 volte, aiutano a trovare la stella Polare e per questo sono popolarmente conosciute come “puntatori”. Le ultime due stelle del timone (Benetnasch e Mizar) puntano invece verso la rossa Arturo. Questa stella possiede un enorme moto proprio, e in soli duemila anni si è spostata di 1 grado apparente. Quindi, se un astronomo dell’antica Grecia, Caldeo o egiziano venisse trasportato nell’èra moderna, riconoscerebbe facilmente tutte le costellazioni a lui familiari, ma resterebbe assai perplesso da Arturo, spostatosi di due diametri lunari.
La luce di Arturo, negli anni ’30 del secolo scorso, fu usata in America come dimostrazione del progresso scientifico. Opportunamente focalizzata su una fotocellula, venne usata per azionare un interruttore che a sua volta alimentava le luci di una Fiera.
Diversamente dalla vicina Orsa Minore che ne è piuttosto priva, nei confini dell’Orsa maggiore si trova un nutrito elenco di oggetti interessanti per gli amanti del deep sky. La magnifica coppia di Galassie M81/M82 è uno degli esempi più noti. Esperti visualisti raccontano che in cieli davvero perfetti (Bortle 1) M81 si renda visibile ad occhio nudo, anche se è ancora più difficile di M33 nel Triangolo.