Se vi dicessi che andava in giro con un alce alcolizzato, che lo seguiva come un cagnolino e partecipava attivamente alle colossali bevute da lui organizzate, o che perse la punta del naso in un duello con il cugino (certamente entrambi ubriachi), probabilmente pensereste a una persona quantomeno eccentrica, se non addirittura con qualche rotella fuori posto. Sicuramente Tyge Ottensen Brahe (1546-1601) queste cose lo era, almeno in parte. Fu però anche una persona, a modo suo, di cuore, oltre a restare in buoni rapporti con il suddetto cugino sposò infatti (lui ricchissimo e di famiglia aristocratica) una comune cittadina, in un’epoca in cui questo voleva dire la perdita di ogni diritto sull’eredità per la moglie e i figli. Soprattutto, per noi, Brahe fu probabilmente il più grande astronomo osservativo prima del telescopio, invenzione che non riuscì a vedere a causa di una prematura morte ben intonata alla sua vita.
L’ avventurosa storia di Tyge cominciò a due anni, quando fu rapito da uno zio il quale, privo di figli, voleva assicurarsi un erede per le sue notevoli sostanze. I veri genitori, a quanto ne sappiamo, non protestarono più di tanto, ed il ragazzo fu avviato dalla zia alla carriera accademica. Studiò bene, e a circa 15 anni l’osservazione di una eclisse solare parziale a Copenhagen lo convertì quasi totalmente all’astronomia. In questa vocazione trovò presto la sua strada. Osservò che una congiunzione di Giove e Saturno era predetta con oltre un mese di errore dalle effemeridi di Tolomeo e di Copernico, e decise di compiere misurazioni il più possibile accurate (di astrometria, diremmo oggi) per migliorare le previsioni degli eventi astronomici. Questo obiettivo rimase un punto fermo nella sua vita di scienziato, e gli consentì di raggiungere la precisione media di circa un primo d’arco (talvolta mezzo primo), pari a un trentesimo di Luna piena e molte volte migliore di quanto riuscirono a fare gli astronomi prima di lui.
Per raggiungere questi risultati Tycho modificò alcuni tra gli strumenti in uso all’epoca, inventandone anche di nuovi. Ebbe bisogno, in particolare, di enormi orologi, che non gli riuscì mai di tenere perfettamente sincronizzati. Grazie all’amicizia del Re Federico II allestì quello che oggi si chiamerebbe un vero e proprio centro di ricerca: Uraniborg (“il castello di Urania”, la Musa dell’astronomia). Il Re gli fece infatti dono dell’isoletta di Hven, dove Tycho allestì il suo osservatorio aiutato da qualche decina di assistenti, accumulando quasi vent’anni di precisissime e preziosissime osservazioni. L’isoletta era piuttosto ventosa, scuotendo gli strumenti e compromettendo la precisione richiesta dall’elevato standard di Brahe. Così, egli pensò di costruire un osservatorio più piccolo sotto il livello del terreno, detto Stjerneborg (“il castello delle stelle”), che è tuttora visitabile, mentre Uraniborg, disgraziatamente, è andato distrutto.
La qualità delle sue osservazioni permise a Brahe di far compiere sostanziali passi avanti alla scienza astromomica già durante la propria vita, e gli meritò un’ampia fama presso i contemporanei. Osservando la cometa del 1577, e calcolandone la distanza tramite la parallasse, Tycho trovò che il suo veloce spostamento l’avrebbe portata ad attraversare le sfere cristalline a cui si pensava i pianeti fossero attaccati. Quindi, o le sfere non esistevano, oppure si doveva ammettere che un corpo celeste poteva infrangerle. Visto che sembrava assurdo pensare a delle sfere frangibili, Tycho scelse la prima strada, ma era insoddisfatto del sistema di Copernico: sia perché riteneva la Terra troppo pesante per muoversi nello spazio, sia perché non riusciva a misurare alcuna parallasse delle stelle fisse. Ideò allora il terzo sistema del mondo, con la Terra al centro dell’universo, e la Luna, il Sole e le stelle fisse in orbita intorno al nostro pianeta (solo queste ultime attaccate alla loro sfera cristallina), mentre i pianeti girano intorno al Sole. Questo sistema, diversamente da quello di Copernico, ebbe le simpatie della Chiesa, perché non scalzava l’uomo dal centro del Creato.
Durante il soggiorno ad Uraniborg, la vita di Tycho non fu priva di stravaganze. Tra queste, l’alce di cui abbiamo parlato all’inizio il quale, probabilmente non molto sobrio, cadde dalle scale del castello morendo poco dopo.
Dopo il ventennio di Uraniborg e l’avvento del nuovo Re, a Tycho vennero meno le sovvenzioni, come oggi diremmo, perché il nuovo re Rodolfo II aveva molte meno simpatie per lui del precedente. Rodolfo lo invitò tuttavia a Praga per tenergli degli oroscopi. Tycho, come in parte tutti gli uomini, era figlio del suo tempo ed accettò, associandosi un giovane e promettente matematico, Johannes Kepler. Keplero era soprattutto un teorico, piuttosto che un osservatore, e diventò quasi matto perché non riusciva a conciliare le misure di Tycho con la posizione di Marte, il quale era sempre qualche primo d’arco più in qua o in là di quanto dicevano le sue effemeridi. Keplero aveva fede incrollabile nelle osservazioni di Brahe, sicché piuttosto che metterne in dubbio la precisione, preferì abbandonare l’ipotesi di orbite circolari, sempre data per scontata da almeno duemila anni. Con un procedimento rimasto classico di triangolazione, del quale non c’è spazio per parlare qui, Keplero determinò così l’orbita di Marte per punti, scoprendo che era una marcata ellisse e non una circonferenza. Riconciliò così finalmente la teoria con le osservazioni, ed enunciò la sua celebre prima legge sui moti planetari.
I rapporti tra Tycho e Keplero non furono sempre cordiali, anche perché, a quanto pare, Tycho non voleva che le sue osservazioni finissero per giustificare un sistema non geocentrico, come poi avvenne. Ma, per fortuna, il tempo ha dissolto queste umane rivalità, e, sulla Luna, uno dei raggi del brillante cratere che porta il nome di Tycho si estende per migliaia di km, fino a congiungersi con il cratere dedicato a Keplero.
Tyge era morto a soli 54 anni. Si dice avesse bevuto troppo, senza alzarsi da tavola per non sembrare scortese verso il suo ospite, ed essendosi così provocato una infiammazione alla vescica che lo portò alla tomba. Altre ipotesi (avvelenamento da mercurio, magari da parte di Keplero, o calcoli renali) sono state smentite dalle due riesumazioni effettuate sulla salma, custodita nella Cattedrale di Tyn a Praga.