L’immagine lunare (presa dai miei archivi) rappresenta il cratere lunare Eratostene parzialmente immerso nell’ombra. Osservandola bene, si nota più o meno al centro un puntino luminoso emergere dal buio – il responsabile è uno dei picchi centrali, che svettando molto al di sopra del fondo del cratere riesce ad intercettare la luce solare. Questo fenomeno è noto da secoli, e lo conosceva bene nel 18mo secolo anche Johann Hieronymous Schröter (a lui è intitolata la Valle a forma di serpente, spesso ripresa dagli astrofili), autore di una monumentale topografia lunare che lo rendeva uno dei maggiori conoscitori del nostro satellite.
Molto diversa era la situazione per Venere, la cui spessa coltre di nubi impediva agli astronomi di vederne la superficie alimentando le ipotesi intorno alla natura fisica del pianeta più brillante. Se simili speculazioni non mancavano neppure per la Luna, dove si vedeva rigogliosa vegetazione nelle aree più scure, possiamo immaginare cosa riuscisse a creare la fantasia degli astronomi dell’epoca e di Schröter in particolare, i cui voli pindarici finirono per renderlo agli occhi della comunità astronomica poco credibile nelle sue congetture quanto accurato laddove si limitava “solo” ad osservare.
E qui veniamo al punto, o meglio al “ponte” di collegamento tra le due immagini sopra. La seconda è un disegno dello stesso Johann che mostra Venere alla dicotomia, dove si nota uno strano puntino luminoso nei pressi del polo Sud (in alto). La natura di questo puntino presso i posteri non è stata mai accertata: c’è chi dice fosse un’aberrazione del suo telescopio (un riflettore, costruito da William Herschel), chi un effetto del seeing, chi ancora un puro prodotto dell’immaginifico Schröter, convinto pluralista e sostenitore della vita praticamente in tutto in Sistema Solare.
Schröter invece non ebbe dubbi nel supporre un meccanismo analogo a quello che ben conosceva e che ho illustrato all’inizio parlando di Eratostene, e concluse che si trattava di una montagna così alta da bucare le nubi di Venere e riuscire ad intercettare la luce del Sole. Presto ne fu calcolata anche l’enorme altezza (23 miglia).
Dopo altre osservazioni simili a questa (Schröter era un osservatore costante ai limiti della manìa), il nostro si convinse a consegnare il suo lavoro ad una memoria che subito scatenò un mare di polemiche, a cominciare dallo stesso Herschel che in qualche modo si sentì chiamato in causa essendovi implicato uno dei suoi strumenti, considerati, peraltro, tra i migliori dell’epoca.
Sir William, unico mortale ad aver scoperto un pianeta del Sistema Solare, poteva permettersi di guardare dall’alto in basso i risultati del collega con meno anni, esperienza e reputazione, ed infatti così fece, mostrando a dire il vero in questa occasione una certa acredine piuttosto estranea al suo carattere. Si diede quindi ad osservare Venere per molti mesi, non rilevando nessuna montagna e concludendo che lo specchio di Schröter, pur essendo eccellente, si era appannato (ricordiamo che all’epoca erano fatti in lega metallica e non in vetro alluminato come oggi) e che in sostanza il collega aveva preso un granchio, grosso perlomeno 30 kilometri. Scrisse ad esempio:
[…] 𝑣𝑜𝑟𝑟𝑒𝑖 𝑠𝑎𝑝𝑒𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑞𝑢𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑡𝑟𝑎𝑛𝑜 𝑐𝑎𝑠𝑜 𝑖𝑜 𝑛𝑜𝑛 𝑎𝑏𝑏𝑖𝑎 𝑜𝑠𝑠𝑒𝑟𝑣𝑎𝑡𝑜 𝑞𝑢𝑒𝑠𝑡𝑒 𝑚𝑜𝑛𝑡𝑎𝑔𝑛𝑒, 𝑐ℎ𝑒 𝑣𝑒𝑛𝑔𝑜𝑛𝑜 𝑑𝑒𝑠𝑐𝑟𝑖𝑡𝑡𝑒 𝑐𝑜𝑚𝑒 𝑝𝑖ù 𝑎𝑙𝑡𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝐶ℎ𝑖𝑚𝑏𝑜𝑟𝑎𝑧𝑜 [all’epoca si credeva la vetta più alta della Terra, NdA]
𝑝𝑜𝑠𝑠𝑜 𝑠𝑝𝑖𝑛𝑔𝑒𝑟𝑚𝑖 𝑎 𝑑𝑖𝑟𝑒 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑒𝑠𝑠𝑢𝑛 𝑜𝑐𝑐ℎ𝑖𝑜, 𝑐ℎ𝑒 𝑛𝑜𝑛 𝑠𝑖𝑎 𝑚𝑜𝑙𝑡𝑜 𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜𝑟𝑒 𝑑𝑒𝑙 𝑚𝑖𝑜 𝑜 𝑎𝑖𝑢𝑡𝑎𝑡𝑜 𝑑𝑎 𝑠𝑡𝑟𝑢𝑚𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑚𝑜𝑙𝑡𝑜 𝑚𝑖𝑔𝑙𝑖𝑜𝑟𝑖, 𝑙𝑒 𝑣𝑒𝑑𝑟à 𝑚𝑎𝑖 [le montagne su Venere, NdA]
e via di questo passo.
Schröter dall’altra parte, anche se probabilmente scosso dai sarcasmi di Herschel, non rispose a tono ma nemmeno ritrattò la sua idea. Si limitò a dire, riguardosamente, che l’illustre collega aveva osservato in un periodo di tempo eccessivamente limitato per trarre conclusioni, essendo
𝑖𝑙 𝑠𝑢𝑜 𝑎𝑢𝑑𝑎𝑐𝑒 𝑠𝑝𝑖𝑟𝑖𝑡𝑜 𝑑𝑖 𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑔𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑝𝑟𝑖𝑛𝑐𝑖𝑝𝑎𝑙𝑚𝑒𝑛𝑡𝑒 𝑖𝑚𝑝𝑒𝑔𝑛𝑎𝑡𝑜 𝑛𝑒𝑙 𝑓𝑎𝑟𝑒 𝑠𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑒 𝑖𝑛 𝑟𝑒𝑚𝑜𝑡𝑒 𝑟𝑒𝑔𝑖𝑜𝑛𝑖 𝑑𝑒𝑙 𝑐𝑖𝑒𝑙𝑜
cioè, diremmo oggi, essendo impegnato a fare deep sky piuttosto che planetario.
La disputa, a quanto sappiamo, ufficialmente finì qui, ma è difficile supporre che la considerazione che i due astronomi, peraltro così diversi tra loro, avevano l’uno dell’altro non ne uscisse in qualche modo incrinata.
Per inciso, le montagne su Venere esistono davvero, anche se non sono molto alte a causa dell’enorme pressione atmosferica e non sono visibili otticamente da Terra.