Il Cassegrain Classico da 30 cm f/20 della CFF, specializzato per le riprese in alta risoluzione, qui su CEM60 e treppiede Berlebach Planet. Ben evidente la struttura Serrurier dei tubolari e il lungo paraluce del primario

Il Cassegrain classico della CFF da 30 cm f/20 è uno strumento di classe, destinato ad amanti dell’alta risoluzione dai gusti raffinati. Il rapporto focale, rallentato a f/20 per minimizzare il coma, rende questo OTA un “fratello minore” del leggendario T1M del Pic du Midi: un Cassegrain classico da 1 m f/17, rifigurato dal grande Texereau in persona e posto a 3000 m di quota nelle Alpi francesi, con cui sono state scritte importanti pagine di astronomia planetaria. L’assetto ottico scelto per il CFF garantisce un campo con aberrazioni al di sotto della soglia di diffrazione pari a più di 12 primi d’arco (contro appena 1’ di un Newton da 30 cm con lo stesso primario). Questo telescopio non ha dunque bisogno di nessun correttore di coma, e, tipicamente, nemmeno di Barlow.

Il diametro generoso, seppure non ancora enorme, garantisce un ottimo potere risolutivo (0.4″) e una raccolta di luce circa 3600 volte pari a quella dell’occhio umano (magnitudine limite visuale intorno a circa 16, sotto cieli mediamente bui).

 

Schema ottico, pesi e ingombri

 

Il primario è stato previsto con rapporto di apertura pari a f/3, per contenere gli ingombri (1030 x 410 x 450 mm, L x W x H) e l’ostruzione, che infatti è insolitamente bassa per un Cassegrain: appena il 25%. Va notato che questo valore comprende i pur sottili (0.8 mm) supporti del secondario e il suo paraluce, e non semplicemente il diametro del secondario come talvolta si vede -scorrettamente- in giro, allo scopo di dichiarare un valore più basso di quello effettivo. Il secondario ha un rapporto di amplificazione pari a 20/3=6.66, il che ha implicazioni pratiche sul backfocus come vedremo sotto.

Lo strumento è equipaggiato da un primario in Supremax33 (spessore circa 1/8 del diametro), ma sono disponibili su richiesta anche substrati più nobili (e costosi), come il quarzo o i vetri ULE (Zerodur/Clearceram), mentre il secondario è realizzato in quarzo. I materiali usati per i truss e lo chassis del primario sono la fibra di carbonio e la lega di alluminio, in grado di contenere i pesi sotto i 20 kg (il peso di un C14). Il design è accattivante, con finiture ben fatte, come ci si aspetta da uno strumento di questo pregio. E’ possibile scegliere tra due colori, rosso e blu, ed è disponibile anche una versione “solare”, naturalmente bianca, e con specchio primario non alluminato. Lo chassis del primario è rivestito internamente di serie con vellutino nero, che insieme al lungo paraluce del primario schermano il più possibile da riflessi nell’oculare. Il velluto usato è risultato molto assorbente, come ho avuto modo di constatare comparandolo con il barilotto di un oculare verniciato con Musou Black alla luce di una torcia. Alcune scelte progettuali (nonché la testimonianza esplicita della casa produttrice) confermano che il telescopio è pensato non solo per l’imaging. La contenuta ostruzione e il grande campo corretto garantiscono stelle punformi fino ai bordi del campo con tutti gli oculari da 1 ¼” che mi sia capitato di usare, compreso il Panoptic da 24 mm. Non ho provato estensivamente gli oculari da 2”, ma la CFF garantisce le medesime prestazioni visuali (va detto come il campo corretto di 25 mm circa sia inferiore al field stop di un oculare da 2″, per cui se qualche aberrazione c’è, è quasi invisibile all’occhio). L’unico accessorio che realmente serve al visualista con questo CFF è un diagonale: il treno ottico è ridotto all’essenziale, con tutti gli immaginabili vantaggi e comodità.

Le leve dello strumento sono maggiori di quelle degli SCT. Questo si traduce in pesi maggiori, a parità di diametro, ma anche in un bilanciamento più facile sull’asse di declinazione. Il CoG (baricentro) è infatti assai più avanzato rispetto a quello degli Schmidt-Cassegrain (in cui è molto vicino alla culatta costringendo a ricorrere a pesi addizionali sulla barra) permettendo un agevole posizionamento del tubo sulla slitta.

La culatta comprende naturalmente tre ventoline per il raffreddamento, che non hanno mostrato di dar luogo a vibrazioni quando sono in marcia nemmeno ad elevatissimi ingrandimenti (1000x, raggiungibili facilmente con un oculare da 6 mm), consentendo di tenerle accese anche durante l’osservazione o la ripresa. E’ prevista di serie una fascia riscaldante dello specchio primario, alimentata come le ventoline da cavo RCA, che a dire il vero non mi è mai capitato di dover usare. Il focheggiatore fornito di serie è un lussuoso Feather Touch da 2″ della Starlight, che io ho fatto sostituire con un Moonlite Hi-res motorizzato per comodità nelle sessioni di imaging.

Nel complesso, si tratta di uno strumento che meccanicamente punta al sodo, e che da questo punto di vista fa bene il suo lavoro. Da rimarcare come una delle qualità migliori i pesi decisamente ridotti (chi scrive lo solleva abbastanza spesso sull’equatoriale senza aiuti esterni).

 

Regolazioni e collimazione

 

La regolazione dello strumento avviene separatamente per il primario e il secondario. Chi acquista uno strumento simile dovrebbe sapere (e generalmente sa) che questo schema ottico è meno tollerante di altri (Newton, SCT, DK), ed è bene quindi essere informati prima di attribuire ai vetri difetti ottici che hanno la loro causa altrove. Le operazioni necessarie diverranno presto routine, e, azzardo, anche piacevoli. Una volta domato, lo strumento saprà ripagarci con prestazioni di prim’ordine e, all’oculare, con emozioni impagabili.

Per regolare l’inclinazione del primario ci sono tre grosse manopole sulla culatta, assai dure e provviste anche di scala graduata, più tre lunghe viti di bloccaggio con manopolina. Dalla cella del primario (a 9 punti di appoggio) si può accedere a tre piccoli grani tangenziali in teflon per evitare micro-shift; con tutti questi vincoli è facile immaginare come, nonostante il peso contenuto, il telescopio mantenga bene la collimazione da un capo all’altro del meridiano, cosa da me verificata numerose volte. Qualche piccolo aggiustamento potrebbe essere fisiologicamente necessario tra l’estate e l’inverno (a causa della differente dilatazione delle parti) o qualora si desiderino le massime prestazioni (imaging).

La buona ingegnerizzazione dello strumento è dimostrata, tra l’altro, dallo chassis del primario, ben sovradimensionato rispetto al diametro dello specchio (1 pollice circa in più), a tutto vantaggio dell’entrata in temperatura. Il bordo è mascherato da un anello in plastica, tenuto in sede da tre brugolette perimetrali.

Il secondario ha anch’esso tre grani per la collimazione, di cui uno fisso, e una manopola per lo spostamento assiale. Questa manopola, graduata, consente la regolazione fine della distanza tra gli specchi (1 giro = 1 mm di spostamento) e di conseguenza il backfocus, che è abbondante (35 cm, calcolati dal centro del primario) consentendo di accomodare anche i più complicati treni di accessori. Ordinariamente, sarà però necessario ricorrere a degli spacer per raggiungere il fuoco. Un ring metallico filettato blocca il secondario nella sua sede, e, al contempo, ha lo scopo di schermare il bordo, frequente sede di difetti ottici. I miei timori sulla mancata coassialità della corsa del secondario si sono rivelati infondati, non avendo trovato traccia né di coma né di astigmatismo allo star test per escursioni di pochi mm nei due versi.

Sebbene sia consigliabile non allontanare troppo gli specchi dal valore di design (non più di pochi mm), il lento rapporto focale consente ampi margini di manovra, senza introdurre aberrazioni di rilievo come invece succede con altri derivati del Cassegrain più veloci come i Ritchey-Chrétien, in cui anche piccoli scostamenti si pagano con una grossa aberrazione sferica. Su questo aspetto ho fatto estensive prove sullo strumento mediante star test, non rilevando mai nulla di significativo.

Il generoso rapporto di amplificazione del secondario si traduce in una sensibilità piuttosto esasperata del backfocus rispetto alla distanza tra gli specchi. Infatti, un solo millimetro di spostamento del secondario equivale a ben 4.5 cm di variazione nel BF, che si accorcia se il secondario si allontana dal primario o si allunga nel caso contrario. Ben difficilmente si avrà bisogno di tutta questa escursione di fuoco, a maggior ragione è sempre bene attenersi alla distanza progettuale tra gli specchi indicata da uno spot rosso all’interno del paraluce del primario. Questa distanza fondamentale viene calcolata al millimetro per ogni esemplare, e riportata nei documenti forniti dalla CFF all’acquisto. Nel mio caso, è pari a 702 mm.

Va da sé che ogni qual volta si interviene sulla distanza tra gli specchi lo strumento subisce delle variazioni di focale, ed occorre tenerne conto in certi lavori in cui è richiesta precisione (come quelli astrometrici).

La collimazione del Cassegrain è un tema già trattato in questo sito a proposito del fratello minore da 8″, alla cui recensione cui si rimanda per le considerazioni generali. La maggiore lunghezza del CFF rispetto al GSO rende in verità abbastanza difficile individuare col solo tappo forato (e quindi ad occhio nudo) la piccolissima croce che marca al centesimo di mm il centro geometrico del secondario, rendendo più comodo l’uso del collimatore Takahashi, accessorio purtroppo piuttosto costoso.

Come ultimo caveat, è bene tenere presente che le due ghiere di bloccaggio (quella del secondario di cui si è già parlato, e quella del primario alla base del paraluce) vanno serrate in modo moderato ma deciso, pena l’insorgere di astigmatismo. Se si interviene sulle ghiere per qualche motivo, qualche prova sul cielo suggerirà il giusto momento da applicare.

 

Resa ottica

 

Il produttore, nel test interferometrico allegato, dichiara uno Strehl ratio di ben 0.97 nel verde, e una correzione del fronte d’onda intorno a lambda/6 PV.

Ho effettuato diversi star test e test di Roddier dello strumento, che hanno tutti mostrato una sferica assai contenuta (che era la mia preoccupazione principale). La quantità di astigmatismo, pure questo assai modesto, è invece risultata variabile, e ne ho attribuito la causa a qualche effetto termico non meglio precisato, mentre è possibile che in parte sia anche nei vetri.

Voglio qui aprire una parentesi sullo star test. Innanzitutto, ricordando le parole di A. E. Douglass, che fu assistente di W. Pickering e fece estensivi studi sul seeing astronomico: our instruments are way better than their atmospheres, che ci devono indurre a ricordare la grande sensibilità del test, e a non diventare matti inseguendo la chimerica, perfetta uguaglianza delle due figure extrafocali. Dall’altro lato, va anche riconosciuto che il test va eseguito correttamente, cioè, tipicamente, molto vicino al fuoco (non più di 10 o 15 onde di interferenza). Solo in questo modo si ha un’immagine chiara del fronte d’onda, mentre allargando ulteriormente otteniamo piuttosto un’immagine della pupilla d’entrata, cioè dell’obiettivo del telescopio e del secondario con i suoi supporti. Grandi distanze dal fuoco sono utili solo nel caso si vada alla ricerca di difetti specifici, come quelli zonali.

Va ricordato inoltre che la soluzione progettuale scelta dalla CFF è piuttosto estrema, visto che anche i migliori ottici non scendono quasi mai sotto f/4 per il rapporto focale del primario (e il summenzionato Texereau, nel suo seminale How to make a telescope dice che occorre un ottico di prim’ordine già in questo caso).

Quanto al test di Roddier (effettuato mediante il software WinRoddier) è risultato dalle mie numerose prove sempre abbastanza dipendente dalle condizioni in cui si esegue il test (ad esempio dal defocus), con una variabilità nello Strehl anche di 5 centesimi. Ciò è stato confermato anche per le due misure eseguite per testare il Cassegrain, che allego per completezza e trasparenza; del test con il risultato più alto includo anche la schermata completa. Per un’accuratezza maggiore andrebbe eseguita una media su un campione significativo di misure (che, se fatte bene, sono piuttosto lunghe e tediose).

Lo strumento nel suo imballaggio originale, con un simpatico omaggio. Il borsone va acquistato a parte

La culatta dello strumento. Questo modello è il decimo prodotto dalla CFF della sua tipologia.

L’elegante manopola per la regolazione della corsa del secondario e i sottili spider. Visibili, sullo sfondo, i due tappi semicircolari che coprono il primario

Il red dot all’interno del paraluce del primario, che serve come riferimento per calcolare la distanza di progetto tra gli specchi

Strehl ratio ( in ordinata) contro il semi-campo inquadrato (in gradi). Lo strumento è diffraction limited entro il suo campo di piena luce (intorno ai 25 mm). Simulazione con ATMOS di Massimo Riccardi.

Ray-tracing dello strumento (simulazione ATMOS). Il cerchietto bianco è il disco di Airy, in scala. L’immagine al piano focale è sempre più piccola del disco di Airy anche ai bordi del campo: lo schema ottico è dunque diffraction limited su tutto il campo inquadrato.

Le principali aberrazioni presenti sono il coma (stella allungata) e la curvatura di campo rivolta verso il cielo (dimensioni diverse dello spot, alla stessa distanza dal fuoco). L’astigmatismo è, invece, trascurabile.

Star test e test di Roddier

Lo star test eseguito al filtro G Astronomik su Alphecca (alfa CrB, mv=2.2). Extrafocale a sinistra. Defocus 15 λ.

La sferica si valuta (più che dalle dimensioni del secondario) dalla distribuzione della luce sui due lati del fuoco, molto regolare, con un leggerissimo rinforzo sul primo e ultimo anello intrafocale (sottocorrezione). La figura complessiva appare sufficientemente liscia, considerando il supporto in Supremax, con anelli di Fresnel regolari.

Un leggero astigmatismo è presente (ore 8/14 – ore 11/17), ma è risultato variabile, ed imputato ad effetti termici o qualche micro disallineamento.

Sono stati eseguiti 2 test di Roddier sulla stella precedente. Quello mostrato qui di 0.96 è il più alto, ed è in ottimo accordo con il test interferometrico del produttore. L’altro test in condizioni diverse ha dato SR=0.90, per una media di circa SR=0.93.

 

Considerazioni finali

 

Il Cassegrain classico è considerato (almeno sulla carta) lo strumento ideale per l’alta risoluzione. Il velocissimo primario (generalmente parabolizzato ad almeno f/4, ma previsto con rapporti focali più spinti dalla piccola e coraggiosa CFF) e il difficile secondario iperbolico lo rendono, necessariamente, un telescopio non economico se confrontato con gli strumenti mass-market pari diametro, destinato ad appassionati che sanno cosa vogliono e non vogliono scendere a compromessi.

In qualche anno di utilizzo (da Aversa o da Torino) ho ottenuto talvolta immagini che definirei quasi eccezionali per un 30 cm, tanto da far nascere in qualche astrofilo (che evidentemente non mi conosce bene) il sospetto di aver usato un diametro superiore. Allego un paio di esempi (nubi di Venere in UV e cratere Plato al filtro B).

Purtroppo mi sono dedicato al visuale certamente meno di quanto avrei voluto, e non allego report di dettaglio. Lo strumento esibisce comunque immagini affilatissime, da rifrattore; nella grande opposizione del 2020 sono riuscito a vedere Deimos distintamente, senza cartoncino nero, portando solo il pianeta fuori dal campo, dal cielo cittadino di Aversa (CE).

Attualmente (fine 2023) lo strumento viene proposto a 8.389 euro (listino CFF), iva inclusa. L’importatore per l’Italia è Skypoint Srl.

Immagini